"Cronache di birra monastica" è una nuova rubrica mensile curata da Simone Sanvito, seminarista di V Teologia. Quest'anno Simone proporrà mensilmente ai lettori la recensione di una o più birre prodotte all'interno di un'abbazia trappista sotto il controllo e la responsabilità della comunità monastica. Non mancheranno alcuni cenni storici, informazioni rispetto ad itinerari turistici e abbinamenti gastronomici.
Prima di tutto per birra trappista intendiamo una birra che viene prodotta da monaci trappisti o sotto il loro diretto controllo. Ma chi sono i monaci trappisti?
Nel 1098, un gruppo di monaci benedettini di Molesme, per seguire da più vicino la Regola monastica scritta da San Benedetto da Norcia, iniziarono a costruire un nuovo monastero a Cîteaux, in Francia. Da Cîteaux deriva il nome dei Cistercensi dato ai membri di questa comunità. San Roberto, Sant’Alberico, Santo Stefano ne furono i fondatori e i primi abati.
San Bernardo diede un notevole impulso all’approfondimento della spiritualità monastica e alla crescita dell’Ordine che, sin dall’inizio, ebbe una ricca espansione missionaria attraverso i vari monasteri costruiti in tutto il continente europeo.
Il carisma cistercense è arrivato fino a noi attraverso la riforma del XVII secolo iniziata dall’Abate de Rancé nell’abbazia cistercense di La Trappe (Francia). Giovane e brillante abate di corte, immerso nella mondanità, si convertì e volle ritirarsi nell’abbazia che aveva in commenda (La Trappe), provvedendo subito a restaurarvi la vita monastica. In tempi di decadenza difese con ardore alcuni aspetti del patrimonio cistercense, soprattutto la sua identità contemplativa, ascetica e cenobitica, ritornando a sottolineare anche il valore del lavoro manuale e una alimentazione semplice e povera.
La Rivoluzione Francese causò la soppressione di tutti gli Ordini religiosi esistenti allora in Francia. Scampò solo un piccolissimo gruppo di monaci di La Trappe rifugiatisi in Svizzera sotto la guida carismatica di Dom Agostino di Lestrange. A questo primo nucleo di una ventina di persone si aggiunsero ben presto altri monaci, che riuscirono clandestinamente a lasciare la Francia, e dei giovani che chiesero di essere ammessi alla vita monastica. Anche monache cistercensi e di altri Ordini, espulse dai loro monasteri, chiesero a Dom Agostino di fondare per loro un monastero femminile, per poter continuare la vita religiosa sotto la sua guida.
Le disavventure di questi uomini e di queste donne forti nella fede e nella loro vocazione non terminarono qui. Con il dilagare delle truppe napoleoniche in tutta Europa, dovettero fuggire fino in Russia, sempre rimanendo come un’unica comunità composta ormai da più di 200 membri. Fu una vera e propria odissea che durò un paio di anni perché anche dalla Russia dovettero fuggire finché, con la caduta di Napoleone, non poterono rientrare in Francia e riacquistare a poco a poco gli antichi monasteri che erano stati loro confiscati. Da questo gruppo si sviluppò quello che ora costituisce l’Ordine Cistercense della Stretta Osservanza (o meglio conosciuto come Ordine Trappista).
Nel mondo possiamo contare undici monasteri trappisti che producono birra, precisamente sei in Belgio, due nei Paesi Bassi, uno negli Stati Uniti, uno in Austria e uno in Italia.
Questi birrifici sono autorizzati dall’Associazione Trappista Internazionale (ITA), fondata nel 1997 per volere di otto monasteri del Belgio, ad etichettare le loro birre con il logo esagonale che porta la scritta «Authentic Trappist Product» (Autentico Prodotto Trappista), marchio che indica l’osservanza di una serie di criteri stabiliti dall’Associazione stessa, principalmente riguardanti la produzione, l’orientamento commerciale e lo scopo economico. Per riconoscere quindi una birra trappista dobbiamo cercare sulla bottiglia il marchio di cui vi ho appena parlato e che potete visionare nella foto sopra allegata. L’ITA etichetta non solo la birra ma anche altri prodotti trappisti, come per esempio formaggio, miele, cioccolato, olio, marmellate; possiamo trovare il logo anche su prodotti per l’igiene personale, domestici e religiosi.
Attenzione quindi a non confondere le birre trappiste con le birre d’abbazia, prive quest’ultime del logo esagonale dell’ITA. Infatti per birre d’abbazia si indicano quelle birre che vengono prodotte dietro concessione di licenze rilasciate dalle abbazie stesse a fabbricanti di birra commerciale. In alcuni casi (a mio giudizio pochi) la produzione avviene rispettando le antiche ricette dei monasteri e conventi, in altri casi invece l’immagine in etichetta del frate o del monaco con la chierica che beve birra ha un valore puramente commerciale.
Il marchio trappista è difeso da regole molto rigide. La birra deve essere prodotta all’interno delle mura di un’abbazia trappista, da parte di monaci trappisti o sotto il loro diretto controllo. La produzione, la scelta dei processi produttivi e l’orientamento commerciale devono ovviamente dipendere dalla comunità monastica. Lo scopo economico della produzione di birra deve essere diretto al sostentamento dei monaci e alla beneficenza e non al profitto economico.
Rispetto a questa ultima regola di carattere più economico, mi sembra interessante sottolineare lo stile assunto da queste abbazie per vivere appieno la Regola di San Benedetto; «Ora et labora» (prega e lavora) per provvedere al sostentamento del monastero e per aiutare i poveri. Sul sito internet di una di queste abbazie birraie si dice infatti: «Noi non facciamo business. Non siamo produttori di birra. Siamo monaci. Produciamo birra per poter continuare a essere monaci».
Ma le birre trappiste che cos’hanno di speciale? Si contraddistinguono per essere bevande più impegnative rispetto alle comuni birre che troviamo facilmente sul mercato o che siamo abituati a bere a casa o nei locali. Impegnative per la loro corposità e gradazione alcolica, per i sapori e profumi intensi, per essere prevalentemente non filtrate e non pastorizzate (preservando al meglio tutte le componenti che esaltano il profilo organolettico), per essere fermentate ad alta temperatura e generalmente fatte rifermentare in bottiglia. Sono birre che certamente vanno degustate lentamente per cogliere appieno la complessità e gli aromi caratteristici, abbinandole magari a cibi particolari che ben si accostano al prodotto. Insomma, a mio avviso, vi sto parlando dell’eccellenza delle birre!
Dal mese prossimo inizierò a raccontarvi di una delle undici birre trappiste. Vi aspetto su questo sito assetati di scoprire e di degustare virtualmente la più pura delle bevande alcoliche, e per cercare di restituire un’identità culturale, religiosa e gastronomica ad una bevanda che purtroppo è stata sempre più assunta dalla gente, in particolare dai giovani, come sostanza per perdere i freni inibitori e non come l’occasione per godere di sensazioni gustative straordinarie date da un’educata degustazione.