Anche la comunità del Seminario, con un bel gruppo di dipendenti, ha partecipato al pellegrinaggio giubilare dell’arcidiocesi di Milano, che si è svolto a Roma da venerdì 14 a domenica 16 marzo. Insieme all’arcivescovo Mario Delpini, oltre tremila fedeli ambrosiani hanno pregato nelle Basiliche dei Santi Ambrogio e Carlo, di San Paolo fuori le Mura e di San Pietro.

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Evento di Chiesa, tempo di grazia, cammino di speranza. Questo il titolo scelto per il pellegrinaggio diocesano a Roma, in occasione del Giubileo. Tre giorni, in piena Quaresima, momento penitenziale per eccellenza, per chiedere perdono e rinnovare la propria fede, sentendosi parte della Chiesa universale.

Con tali propositi anche la comunità di Venegono si è messa in cammino verso l’Urbe. Seminaristi, educatori e dipendenti, al di fuori dell’ambito lavorativo, si sono sentiti parte di una grande famiglia, accomunati dal desiderio di vivere il Giubileo in pienezza e con nel cuore l’emozione di attraversare la Porta Santa, segno di conversione.

Una vita nuova

Il pellegrinaggio ha avuto inizio venerdì pomeriggio con la celebrazione penitenziale presso la Basilica dei Santi Ambrogio e Carlo, un’isola della “nazione lombarda”, come veniva detta, nel cuore della città eterna. In questa chiesa secentesca, dedicata al patrono e al compatrono della nostra Diocesi, partendo dal brano del Vangelo di Matteo che parla della casa costruita sulla roccia, l’Arcivescovo ha sottolineato come sia forte, sopraffatti dai pesi della vita quotidiana, la tentazione di perdere lo stupore e la fiducia. «La Parola di Gesù – ha detto – è troppo fragile per essere quella roccia rassicurante su cui costruire la vita. Altre parole, altre promesse, altre risorse sono più convincenti». La sfiducia si insinua negli animi come fosse realismo, ma è peccato, anzi, «la radice di molti peccati». Anche la constatazione della propria impotenza, che induce a disperare nella possibilità di diventare santi, è peccato.

«Noi siamo qui – ha rassicurato mons. Delpini – per ricevere la grazia di una vita nuova. Attraverseremo la Porta Santa, che è aperta per tutti e non c’è bisogno di bussare, e otterremo le grazie del Giubileo». L’importante è che sia aperta la porta del nostro cuore, affinché «possa entrare Gesù e restituirci lo stupore, la fiducia, il desiderio di santità, praticando la sua Parola».

La memoria guarita

La mattina di sabato il sole fa capolino sulla Basilica papale di San Paolo fuori le Mura, illuminando l’oro della splendida facciata che attira gli sguardi di tutti. I pellegrini si mettono in fila sotto il porticato e pregano, in attesa di attraversare la Porta Santa di questa Basilica, che custodisce la tomba dell’apostolo folgorato sulla via di Damasco e martirizzato a pochi chilometri da qui. Varcata la soglia, dopo la preghiera di ringraziamento all’acquasantiera, il cordone di pellegrini si dirige alla tomba dell’apostolo per la professione di fede.

I preti del Seminario si rendono disponibili, insieme a tanti altri sacerdoti, per le confessioni nelle navate laterali, in attesa della celebrazione eucaristica, che prende avvio con una solenne processione. Insieme all’arcivescovo Delpini concelebrano un centinaio di presbiteri e cinque vescovi: il vicario generale Franco Agnesi e gli ausiliari Luca Raimondi e Giuseppe Vegezzi, Michele Di Tolve, già rettore del Seminario di Milano, ora ausiliare di Roma e Flavio Pace, segretario del dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.

«La Porta Santa che abbiamo attraversato- esordisce Delpini – è Gesù stesso che ci invita ad essere pellegrini di speranza». Nell’omelia l’Arcivescovo parla del passato di ciascuno, quale miniera di tesori da custodire, ma anche discarica dove si buttano le cose che non si vogliono più tenere. «Nella memoria- dice- sono conservate le umiliazioni subite, le esperienze dolorose, le ferite ingiuste e inaspettate, inadempienze e cattiverie che ancora sono motivo di vergogna».

Ecco allora l’importanza del Giubileo che celebriamo «perché la memoria malata possa guarire e ci si possa finalmente sentire liberi e leggeri». Non si tratta di mettere una pietra sopra al proprio passato, per dimenticare il male compiuto o subito. «La memoria guarita- tiene a precisare l’Arcivescovo- è la disponibilità all’opera di Dio che libera e salva».

Il pomeriggio culturale

Poi la giornata, per la comunità del Seminario, prende una piega più culturale.

C’è chi ha in programma la vista alla Galleria Borghese che custodisce opere di Caravaggio, Bernini e Canova, per proseguire poi, accompagnati da don Samuele Ferrari, verso la terrazza del Pincio e la chiesa degli artisti in Piazza del Popolo.

Un altro gruppo ha un tour guidato da don Norberto Valli che, partendo dalla chiesa dei Santi Giovanni e Paolo al Celio, si conclude sull’Aventino.

Altri ancora hanno la possibilità di visitare la Basilica di San Giovanni in Laterano e attraversare la Porta Santa, per proseguire verso il Colosseo e l’arco di trionfo dedicato all’imperatore Costantino, apprezzando le spiegazioni di don Stefano Perego.

La serata si conclude con una cena tipica romana per festeggiare i novant’anni del Seminario.

«Abbiamo incontrato Gesù»

L’attraversamento della Porta Santa di San Pietro è il momento più atteso del pellegrinaggio, che termina con la celebrazione presieduta all’altare papale dal cardinale Mauro Gambetti, arciprete della Basilica.

Nell’omelia, ispirata alle letture e al Vangelo, mons. Delpini si sofferma sulle figure di Abramo, «padre della fede e modello per tutti i credenti», Mosè «l’amico di Dio» ed Elia «l’uomo del fuoco, pieno di ardore, profeta di un mondo più giusto».  Di fronte a questi testimoni, l’augurio dell’Arcivescovo è che tutti possiamo tornare alla nostra vita ordinaria dicendo che «abbiamo incontrato Gesù».

Certamente ciascuno lo ha incontrato a suo modo: attraversando la Porta Santa, pregando per sé e per i propri cari portati a Roma nel cuore, rinnovando il Credo nei luoghi che sono all’origine della nostra fede, ma anche davanti alla bellezza di tante opere d’arte e nei volti delle migliaia di pellegrini che ci hanno fatto sentire parte di una Chiesa grande e vivace.

Ora tocca a ciascuno di noi non spegnere la speranza, parola chiave di questo Giubileo, che «non delude perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori».