Riflessione di Michele Gianola
«Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?» (Lc 10,25).
La domanda posta a Gesù dal giovane ricco è entrata spesso nell’annuncio e nel discernimento vocazionale, accompagnata dal desiderio – sempre molto buono – di intuire la propria strada, l’orientamento da dare alla propria vita, la propria vocazione. Come nell’episodio del Vangelo, il Signore non risponde in maniera chiara e univoca, non affida un ruolo, non indica una forma, non precisa i passi da compiere uno per uno: semplicemente invita ad amare Dio e i fratelli, a mettersi al servizio, a dare la vita.
Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, papa Francesco riprende la radice della vocazione cristiana insegnando – in un numero citato molto spesso – che ogni uomo di questa terra è una missione. «Illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare» sono i compiti e gli atteggiamenti del cristiano capaci di rivelare la propria specifica vocazione (cf. Francesco, Evangelii gaudium, 273).
Che cosa dobbiamo fare, allora?
Benedire è uno delle vie per riconoscere la propria vocazione, non soltanto nel tempo del discernimento iniziale quanto in quello della vita adulta, del cammino già intrapreso.
Benedire, infatti, è l’opera di Dio fin dal Principio della Creazione quando – al termine di ogni giorno – egli si volge indietro, contempla e riconosce in ciò che ha fatto, una cosa buona (Gen 1).
Così, benedire è partecipare al compimento della sua opera, ma soprattutto riconoscerne il fiorire in quella sorta di creazione continua che è la storia della salvezza, edificare il Regno di Dio e il suo tempio.
Benedire è guadagnare lo sguardo di Dio sulle cose e sulle persone, attendere a quell’esercizio così decisivo perché legato alle radici della lotta spirituale di udire dai volti delle persone il risuonare di quella eco che riconduce alle origini: «Vide che era cosa molto buona» (Gen 1,31).
Nell’intimo di ogni uomo e di ogni donna brilla la luce preziosa della figliolanza divina, nel cuore di ciascuno abita lo Spirito che preme per ricucire quella fraternità originaria, lacerata dal peccato.
«Dov’è tuo fratello?» (Gen 4,9).
La domanda che implora da parte di Dio la direzione del ritorno alla beatitudine per la quale siamo nati e verso la quale siamo diretti è il punto prospettico da cui guardare il mondo.
Là, dietro il volto di ciascuno e nascosta dentro i fatti e le occasioni della vita è possibile intuire la fisionomia di Gesù, nel quale soltanto possiamo riconoscerci figli di Dio.