Una riflessione di Emanuela Vinai sulla vocazione per Papa Francesco
Essere felici, liberi, in compagnia. Pubblicità di una vacanza? Slogan per un collettivo? Corso di interazione relazionale? No, la vocazione per Papa Francesco. Vocazione come parola chiave, da preservare e da non lasciare sola, ma da coniugare con queste altre: felicità, libertà, insieme.
Francesco, l’ottantatreenne più giovane del mondo, sa che, per come viene percepita, “la parola ‘vocazione’ ai giovani può fare paura, perché spesso è stata confusa con un progetto che toglie la libertà”. Tszé!, siete antichi. La verità è che “Dio sostiene sempre fino in fondo la libertà di ciascuno”. Sul serio? Anche di sbagliare? Sì, perché se, come canta il poeta, “Liberi liberi siamo noi, però liberi da che cosa, chissà cos’è”, il Papa nell’esortazione apostolica “Christus vivit”, offre una chiave di lettura straordinaria per la nostra vita scompigliata: “Nulla è frutto di un caos senza senso, ma al contrario tutto può essere inserito in un cammino di risposta al Signore, che ha un progetto stupendo per noi”. E se siamo parte di un progetto è il momento di darsi da fare in prima persona. In fondo qui si parla di noi: non si vorrà mica stare a guardare, a “balconear”?
Francesco dà una decisa strigliata alle ansie e pigrizie che attanagliano la giovinezza (e non solo), e il primo punto all’ordine del giorno è che Nostro Signore ci vuole vivi e inquieti: “Non confondete la felicità con un divano e non passate tutta la vostra vita davanti a uno schermo”. Viviamo nel tempo che cerca di anestetizzare i pensieri e le parole, di omologare e appiattire a un’opinione unica l’anima e il senno di ciascuno, dove ci si parla per messaggio perché guardarsi negli occhi già rivela le fragilità. Uscite e incontrate, non può che far bene.
Nella società dell’immagine, della ricerca della falsa perfezione attraverso l’imitazione di un’illusione, della realizzazione artefatta, Papa Bergoglio la butta giù dura e ci dice che siamo noi a dover trovare la nostra personale strada: “Non sarai santo e realizzato copiando gli altri. E nemmeno imitare i santi significa copiare il loro modo di essere e di vivere la santità”. Perché il traguardo è “diventare più pienamente te stesso, quello che Dio ha voluto sognare e creare, non una fotocopia”. Faticoso? Sì, ma le fotocopie sbiadiscono e si perdono, l’originale scrolla la polvere e riparte.
Eh già, guarda un po’, la vita “non è un tutorial” e nemmeno una app: tocca il rischio di viverla, sporcarsi, ferirsi, cadere, rialzarsi. Vivi e scalcianti alla ricerca della propria strada, della propria vocazione. Altrimenti, prede della paura, diventiamo “soggetti che non vivono” perché “paralizzati, come morti viventi”. Sta a noi scegliere: uomini o zombie?