La figura di Maria accompagna costantemente, in tutto il percorso educativo, la formazione di ciascun seminarista. Nel mese di maggio (come anche in quello di ottobre), in particolare, entrambe le comunità vivono la proposta della preghiera del Rosario quotidiano, generalmente nel primo dopo cena, camminando nei quadriportici voluti dal Beato Schuster o recandosi presso la piccola ricostruzione della grotta della Madonnina di Lourdes, vicino alla cappella del Biennio.
Di seguito pubblichiamo l’incipit dell’apprezzatissimo intervento di don Gianni Colzani, tenuto nella mattinata della recente Festa dei Fiori, avente a tema “il ruolo di Maria nella vita del presbitero”. Una sintesi completa dell’intervento sarà disponibile sul prossimo numero di Fiaccola, la rivista dei seminaristi, disponibile presso il Segretariato per il Seminario (Piazza Fontana, 2 – Milano, tel. 02.8556278):
Mi è stato chiesto una testimonianza sul ruolo di Maria nella vita del presbitero e nella sua attività pastorale. Ci provo. La mia parrocchia, la mia famiglia, la mia formazione erano animati da una tranquilla devozione mariana; ricordo ancora il rosario serale in famiglia o in parrocchia, i pellegrinaggi alla cappellina di Monguzzo, di cui mio papà era devoto, alla Madonna di S. Valeria, alla Madonna delle Grazie di Monza, alla Madonna del Bosco e poi al S. Monte di Varese, a Rho, a Lezzeno, a Caravaggio. Nel cammino formativo del Seminario, a poco a poco mi sono reso conto – come tutti, credo – della sproporzione tra il posto che Maria occupava nella devozione, e cioè nel sentimento, e quello assegnatogli dalla teologia e dalla liturgia e, conseguentemente, dalla formazione sacerdotale.
Al di là di momenti o gesti sporadici, il risultato fu un lasciar ai margini la pietà mariana; l’idea che la devozione mariana raccolga la vita spirituale attorno ad un punto in grado di approfondire il mistero, di incamminare verso un arricchimento interiore e umano e di esigere una concretezza di tempo e di gesti lontana da un generico spiritualismo l’ho scoperto solo dopo. L’intuizione centrale di una vita che è dono di Dio da vivere nella sequela di Cristo e nel cammino della fede – centrale in Maria ed importante per il sacerdote – l’ho compresa solo dopo. Mi colpiva il mese di maggio, il ciclo natalizio, l’Immacolata, l’Assunta ma non ne ricavavo molto. Più tardi – nei miei primi studi mariani – mi sono imbattuto nell’indicazione che questi dogmi riguardavano privilegi particolari; troviamo il termine nella Ineffabilis Deus (1854) e nella Munificentissimus Deus (1950) che vede l’Assunzione come “suprema corona” dei privilegi di Maria. Ora i privilegi esaltano Maria ma anche la distaccano, la isolano dall’umanità. Così, nonostante i rosari e le feste mariane, ho perso un poco la mia pietà mariana.
Nemmeno la teologia me la restituì. Furono due testi a toccarmi in profondità: due testi che ho affrontato nell’ultimo anno di Teologia e nei primi due anni di vita sacerdotale. Il primo fu Il Signore. Meditazioni sulla persona e la vita di N. S. Gesù Cristo di Romano Guardini, una vecchia edizione di Vita e Pensiero del 1962. In quel testo vi sono delle pagine – sei o sette – su La Madre. Guardini raccoglie la figura di Maria non attorno ai privilegi ma attorno alla fede; commentando Lc 1,35, Guardini scrive: «ad esso [il Santo] ella ha offerto tutto: il suo cuore, il suo onore, il suo sangue, tutta la sua potenza di amore. Lo ha circondato ma egli si è sviluppato al di sopra di lei, sempre più alto, sempre maggiormente al di sopra. Una distanza si è aperta attorno al suo Figlio che era il Santo. Di quella distanza egli vive, sottratto a lei. Questo, di certo, ella non lo poté comprendere. E come avrebbe potuto comprendere il mistero del Dio vivente? Pure ella poté ciò che sulla terra, cristianamente, è più importante dell’intendere […]: ella credette». Cominciò da lì, da quel testo il mio avvicinamento a Maria come via verso il mistero della vita di Dio…